Commento ai numeri del movimento cooperativo Rapporto 2015

Quadro Economico Sociale 2014

La crescita internazionale nel 2014 è stabile. Il ciclo economico internazionale ha mantenuto un ritmo di espansione in linea con quello dell’anno precedente: secondo i dati del Fondo monetario internazionale (Fmi), la crescita del Pil mondiale si è attestata al 3,4%; la moderata accelerazione della crescita nelle economie avanzate (1,8%, dall’1,4 nel 2013) è stata compensata da un lieve rallentamento nei paesi emergenti (4,6%, dal 5,0% nel 2013).
Il rafforzamento ciclico per l’insieme dei paesi avanzati è stato la risultante di dinamiche eterogenee. In particolare, gli Stati Uniti hanno continuato a beneficiare degli effetti positivi degli stimoli di natura fiscale e monetaria, proseguendo su ritmi di espansione simili a quelli dei due anni precedenti; nonostante una politica monetaria espansiva, il Giappone ha sperimentato una stagnazione. Nell’Uem, infine, in corso d’anno è emersa una ripresa e l’attività economica è tornata a crescere dopo due anni di contrazione.
Gli Stati Uniti hanno guidato la ripresa dei paesi avanzati. Più in dettaglio, nel corso del 2014 il ritmo di crescita del Pil negli Stati Uniti (2,4% nella media annua) ha registrato un’espansione marcata nella parte centrale dell’anno dopo la contrazione del primo trimestre. Il ciclo economico è stato sostenuto dal rafforzamento della dinamica dei consumi privati e da un ulteriore miglioramento del mercato del lavoro (il tasso di disoccupazione è sceso dal 6,6% di gennaio al 5,6 in dicembre), mentre le pressioni inflazionistiche sono rimaste contenute nel primo semestre e si sono attenuate ulteriormente nella seconda parte dell’anno grazie alla caduta del prezzo del petrolio e all’apprezzamento del dollaro.
L’economia giapponese ha sperimentato una sostanziale stagnazione in termini annui (-0,1%) ma con una marcata contrazione del Pil nel secondo e terzo trimestre (-1,7 e -0,7% su base congiunturale). La domanda interna del settore privato è stata penalizzata dall’incremento dell’Iva, che ha provocato una forte contrazione dei consumi nel secondo trimestre, solo in parte compensata dall’aumento della spesa pubblica per infrastrutture. Nel corso dell’anno, la politica monetaria ha fornito sostegno al ciclo con misure addizionali di espansione monetaria; la discesa del prezzo del petrolio e il deprezzamento dello yen hanno favorito, attraverso un miglioramento della competitività e un’espansione dell’export, il rimbalzo dell’attività nel quarto trimestre (+0,4% su base congiunturale).
È ripartita l’attività nell’Uem. La dinamica ciclica positiva della seconda metà dell’anno ha determinato il ritorno a una crescita del Pil (+0,9%, dopo il -0,8 e il -0,4% rispettivamente nel 2012 e 2013). L’attività economica è stata debole nei mesi primaverili (+0,1% nel secondo trimestre rispetto al primo), penalizzata da una contrazione dell’attività in Germania, concentrata nel settore delle costruzioni. Nella seconda metà dell’anno, il venire meno di questi fattori temporanei, unitamente al diminuire delle tensioni di natura geopolitica legate al conflitto in Ucraina, ha permesso un graduale recupero delle condizioni interne di domanda (0,2 e 0,3% le variazioni del Pil su base congiunturale negli ultimi due trimestri dell’anno). In questa fase, i maggiori contributi alla crescita sono giunti dai consumi privati (rispettivamente pari a tre e due decimi di punto su base congiunturale), mentre gli investimenti hanno fornito un apporto quasi nullo. Nel quarto trimestre le esportazioni nette hanno determinato un contributo positivo per due decimi di punto, grazie a un ritmo di espansione delle esportazioni superiore a quello delle importazioni (rispettivamente pari allo 0,8 e 0,4% su base congiunturale).
Nelle economie emergenti è proseguita la decelerazione ciclica già in atto nel 2013. In questi paesi la crescita del Pil si è attestata al 4,6%, dopo il 5,0 e il 5,2% nel 2013 e 2012. In particolare, quasi tutti i paesi più dinamici (i BRIC: Brasile, Russia, India e Cina) hanno sperimentato in corso d’anno un rallentamento. In Brasile, entrato in recessione a partire dal secondo trimestre, l’elevata inflazione ha determinato un progressivo inasprimento della politica monetaria con conseguenze negative sulla crescita; l’economia russa ha sperimentato a fine anno una contrazione, causata dal calo del prezzo del petrolio e dagli effetti economici delle sanzioni a seguito della crisi ucraina; la domanda interna in Cina ha subito una significativa decelerazione, tanto da indurre le autorità monetarie a una riduzione dei tassi di interesse in novembre. Solo l’India sembra in controtendenza, con una espansione del Pil più elevata rispetto all’anno precedente; le riforme in agenda da parte del nuovo governo hanno alimentato la fiducia degli imprenditori, sostenuto l’andamento del mercato mobiliare e il corso della rupia. Le quotazioni delle materie prime sono drasticamente diminuite. Il progressivo deterioramento delle condizioni cicliche internazionali, l’apprezzamento del dollaro e la decisione dei paesi Opec di non ridurre la produzione hanno costituito gli elementi alla base della caduta dei prezzi del petrolio. Nel secondo semestre del 2014 le quotazioni del Brent si sono praticamente dimezzate (da valori medi mensili di 112,2 dollari a barile in giugno ai 62,1 dollari di dicembre); in media d’anno la diminuzione è stata dell’8,9%. Anche i prezzi delle materie prime non energetiche hanno registrato un calo (-4% secondo l’indicatore del Fmi), più marcato nella seconda metà dell’anno in corrispondenza della decelerazione dell’attività industriale nei paesi emergenti.
Nei paesi avanzati, l’inflazione ha seguito andamenti divergenti. La debolezza della domanda internazionale, la forte caduta dei prezzi delle materie prime e l’ampia capacità inutilizzata hanno contenuto, anche nel 2014, le pressioni sui prezzi: secondo i dati del Fmi, i prezzi al consumo per l’insieme delle economie avanzate sono aumentati dell’1,4% in media d’anno (così come nel 2013). Tuttavia, in Giappone si è osservata una risalita dell’inflazione determinata dal deprezzamento del cambio, negli Stati Uniti una sostanziale stabilità nonostante l’andamento vivace del ciclo economico, nell’Uem una forte discesa trasformatasi nell’ultima parte dell’anno in un calo del livello dei prezzi. Le politiche monetarie nei primi due paesi sono rimaste invariate, mantenendo il tono espansivo degli anni precedenti; nell’Uem, la Bce ha fronteggiato il rischio di un radicamento delle aspettative di una ulteriore discesa dei prezzi avviando manovre non convenzionali di immissione di liquidità. Gli scambi mondiali sono in ripresa nel 2014. Secondo i dati del Central Plan Bureau il commercio mondiale di beni in volume ha segnato nella media del 2014 una lieve ripresa (3,3% contro il 2,7% del 2013). L’andamento è stato determinato da una maggiore vivacità degli scambi, dal lato tanto delle esportazioni quanto delle importazioni, da parte dei paesi avanzati (in particolare negli Stati Uniti e in Giappone); i paesi emergenti hanno invece registrato un rallentamento, particolarmente accentuato per l’America Latina. Per il 2015 è atteso un graduale recupero del ciclo internazionale. Gli indicatori anticipatori suggeriscono la prosecuzione, nei primi mesi del 2015, di una graduale ripresa ciclica. Nei paesi avanzati continua il rafforzamento dell’attività economica, grazie all’azione di stimolo esercitata dalla politica monetaria, dal calo del prezzo del petrolio e, per l’Uem, dal deprezzamento del cambio. Nei paesi emergenti, l’apprezzamento del dollaro e condizioni di domanda più deboli hanno determinato il calo dell’inflazione e l’aumento dei tassi reali, tanto da spingere le banche centrali di Cina e India a una diminuzione dei tassi di interesse di policy. Nell’Uem gli indicatori anticipatori delineano prospettive positive. Nei primi mesi del 2015 i fattori esogeni in grado di fornire un impulso al ciclo economico (quantitative easing, discesa dei prezzi dei beni energetici, deprezzamento del cambio) alimentano il miglioramento del clima di fiducia di famiglie e imprese.

Economia Italiana

Il quadro relativo al 2014 mostra per l’Italia ancora una flessione per l’attività economica. Dopo la forte contrazione del 2012 e 2013 (rispettivamente del 2,8% e dell’1,7), il Pil italiano in volume ha segnato lo scorso anno una ulteriore riduzione, seppure di entità decisamente più contenuta (-0,4%); il livello è sceso al di sotto di quello registrato nel 2000. L’andamento dell’attività economica è risultato negativo per i primi tre trimestri e ha segnato una variazione congiunturale nulla nel quarto. La discesa dell’inflazione ha contribuito al lieve recupero dei consumi delle famiglie. La domanda interna ha fornito nel complesso un contributo negativo alla crescita pari a sei decimi di punto. I consumi finali (che includono anche i consumi della Pa) hanno registrato una variazione nulla rispetto all’anno precedente, mentre la spesa per consumi finali delle famiglie è cresciuta in volume dello 0,3%, con un lieve recupero rispetto all’accentuata diminuzione nei due anni precedenti (-3,9 e -2,9% rispettivamente nel 2012 e 2013) grazie alla componente di spesa per consumi di servizi (+0,7%); nel complesso l’apporto dei consumi privati è stato positivo per 0,2 punti percentuali. Il lieve aumento dei consumi delle famiglie si collega all’andamento del reddito disponibile in termini reali (cioè il potere di acquisto delle famiglie) che, per la prima volta dal 2008, si è stabilizzato, anche grazie alla discesa dei prezzi al consumo, registrando in media d’anno una variazione nulla (dopo il -5,2% del 2012 e il -0,9% del 2013). La propensione al risparmio delle famiglie, ovvero il risparmio lordo sul reddito disponibile, la cui riduzione ha alimentato i consumi nella prolungata fase di crisi, ha segnato ancora una leggera diminuzione (dall’8,9% del 2013 all’8,6 lo scorso anno): in termini nominali i consumi finali sono cresciuti a un ritmo lievemente superiore a quello del reddito disponibile (rispettivamente +0,5 e +0,2%). È leggermente aumentato il carico fiscale complessivo. Nel 2013 e 2014 è rimasto invariato il carico fiscale corrente e in conto capitale delle famiglie (al 15,7% del reddito lordo disponibile delle famiglie). Tuttavia, il carico fiscale complessivo (che include anche le imposte sull’abitazione) nel 2014 è aumentato, salendo al 16,3%, a causa dell’introduzione del Tributo per i servizi indivisibili (Tasi), compensando quasi interamente il calo determinato dall’abolizione dell’Imu sulla prima casa. Anche nel 2014 l’apporto degli investimenti è stato negativo. Gli investimenti lordi sono ancora diminuiti, segnando in media d’anno una flessione del 3,3% e un contributo alla crescita negativo per 0,7 punti percentuali; il calo, seppure inferiore a quello del 2013, ha riguardato le costruzioni (-4,9%) e gli investimenti in macchinari e attrezzature (-2,7%), mentre per i mezzi di trasporto la contrazione (-1,1%) ha interrotto la risalita dell’anno precedente (+4,7%). Un contributo positivo alla crescita del prodotto è giunto dalla domanda estera netta grazie a una dinamica dei volumi di esportazioni di beni e servizi (+2,6%) superiore a quella delle importazioni (+1,8%) che pure sono tornate a crescere dopo due anni.
In particolare, la dinamica dell’export è risultata positiva verso i paesi Ue (+3,8%) e stagnante verso il resto del mondo (-0,1%). Nell’ultimo trimestre dell’anno, tuttavia, il deprezzamento dell’euro ha determinato una forte ripresa degli scambi verso l’area extra Ue (+1,8% su base congiunturale). La flessione dell’import su base annua è stata determinata dalla forte contrazione dei prodotti energetici (-19,5%) mentre sono risultati in ripresa, rispetto agli ultimi due anni, i flussi importati dai paesi dell’Unione (+1,3%).Nella media del 2014, l’inflazione è scesa allo 0,2%, in flessione di oltre un punto percentuale rispetto al 2013, quando era stata pari all’1,3% (3,3% nel 2012). Nel corso dell’anno, la dinamica dei prezzi ha continuato a rallentare fino a segnare variazioni negative.
L’azzerarsi delle spinte inflazionistiche è da ascrivere sia alla dinamica negativa delle componenti più volatili (beni energetici e alimentari non lavorati) sia alla progressiva moderazione della componente di fondo, dimezzatasi rispetto all’anno precedente (+0,7%, dall’1,3 per cento del 2013). L’occupazione è tornata a crescere nel 2014 per i più anziani, per gli stranieri, per le donne e nei servizi. Dopo due anni di contrazione, nel 2014 l’occupazione è nuovamente tornata a crescere (88 mila occupati in più rispetto al 2013, +0,4%); un aumento si è osservato anche in termini di ore lavorate (+0,1%) e di input di lavoro (+52 mila unità di lavoro, +0,2%) sulla base delle misure di contabilità nazionale.
La crescita dell’occupazione ha favorito specifiche tipologie di soggetti: le classi di età più anziane, anche in ragione del rallentamento delle uscite verso il pensionamento, rispetto ai più giovani e la componente straniera residente rispetto a quella italiana. Dell’aumento dell’occupazione ha beneficiato maggiormente la componente femminile, rispetto a quella maschile. Questi andamenti hanno influito sul tasso di occupazione complessivo, pari nel 2014 al 55,7% (due decimi in più rispetto al 2013), che è rimasto stabile per i maschi (64,7%) ma è aumentato per le femmine (fino al 46,8%). La composizione per età ha visto un’ulteriore flessione per i più giovani (-3,1% per gli uomini dai 15 ai 24 anni e -7,1% per le donne); quella geografica ha registrato un aumento dei posti di lavoro nel Nord (+0,4%) e nel Centro (+1,8%) mentre nel Mezzogiorno l’occupazione si è contratta (-0,8%). Sulla base delle informazioni provenienti dalla rilevazione sulle forze di lavoro, la crescita dell’occupazione totale ha riguardato gli occupati dipendenti, a fronte di una contrazione degli indipendenti (-9 mila individui, -0,2%).
Il calo di 2,8 miliardi della spesa per interessi (la cui incidenza è scesa dal 4,8 al 4,7% del Pil) ha in parte compensato il peggioramento del saldo primario, consentendo di contenere l’indebitamento netto entro i parametri del Patto di stabilità e crescita. L’indebitamento è, infatti, risultato nel 2014 pari al £% del Pil (-49,1 miliardi), con un lieve peggioramento rispetto al 2,9% dell’anno precedente (-47,5 miliardi). Il mancato raggiungimento degli obiettivi indicati dal governo è stato sostanzialmente dovuto alla dinamica dell’attività produttiva decisamente peggiore rispetto a quella prevista. Diversamente dalle ipotesi, che indicavano una crescita del Pil in volume pari all’1%, l’economia italiana ha, infatti, registrato nel 2014 una flessione dello 0,4%.

Il debito pubblico è in aumento. Secondo le stime più recenti della Banca d’Italia, il debito pubblico ha raggiunto a fine 2014 i 2.134,9 miliardi, pari al 132,1% del Pil. L’incremento rispetto all’anno precedente (quando si attestava al 128,5%) è stato di 66 miliardi, pari a 3,6 punti percentuali di Pil. Al netto del sostegno finanziario a paesi Uem l’aumento è stato inferiore e pari a 3,3 punti percentuali (dal 125,1 al 128,4).
Scomponendo la crescita del rapporto debito/Pil nelle diverse determinanti, un forte contributo è derivato dagli oneri per il servizio del debito, dalla contrazione dell’attività economica reale e dalla bassa inflazione. In particolare, il cosiddetto effetto snow ball, dato dal differenziale tra costo medio del debito (3,6%) e tasso di crescita del Pil nominale (0,4%), ha determinato un aumento del rapporto pari a 4,2 punti percentuali.
Affinché l’economia italiana ritorni a una crescita stabile, occorre quindi che prosegua lo sforzo di innovazione necessario per adeguarsi alle nuove tecnologie e alla competizione a livello globale. I risultati delle imprese più efficienti, che hanno aumentato le vendite sui mercati esteri, investito e realizzato innovazioni, contrastano con quelli di una parte considerevole del sistema produttivo, caratterizzata ancora da una scarsa propensione a innovare e da strutture organizzative e gestionali più tradizionali. L’attività innovativa è in Italia meno intensa che negli altri principali paesi avanzati, soprattutto nel settore privato. L’ultima indagine europea sull’innovazione indica che il ritardo, particolarmente ampio rispetto alla Germania, è accentuato nei settori industriali a più elevato contenuto tecnologico. È molto inferiore, per le imprese italiane, la capacità di svolgere attività di ricerca e sviluppo al loro interno e di collaborare con università e altre istituzioni di alta formazione. Rispetto ad altri grandi paesi, in Italia le imprese non solo nascono mediamente più piccole, ma faticano anche a espandersi; in termini di occupati, anche quando hanno successo crescono a ritmi più bassi e per un periodo più limitato. Ostacoli all’attività delle imprese e alla loro crescita vengono in Italia – oltre che da limiti di natura finanziaria – soprattutto dal contesto in cui è condotta l’attività economica. La complessità del quadro normativo, la scarsa efficienza delle procedure e delle azioni delle amministrazioni pubbliche, i ritardi della giustizia, le carenze nel sistema dell’istruzione e della formazione frenano lo spostamento di risorse produttive verso le aziende più efficienti, uno dei principali meccanismi alla base della crescita della produttività. Una situazione, questa, aggravata dai fenomeni di corruzione e in più aree dall’operare della criminalità organizzata. Pur essendovi stata negli ultimi due anni quindi una significativa ripresa degli afflussi di capitali esteri per investimenti di portafoglio, anche in azioni e obbligazioni di banche e imprese, gli stessi ostacoli che frenano il rinnovamento e la crescita dimensionale delle nostre imprese scoraggiano ancora gli investimenti diretti in Italia che sono un fattore importante per i cambiamenti nella gestione, per l’innovazione e per il posizionamento produttivo e commerciale all’interno di reti internazionali. Occorre quindi proseguire l’azione di riforma avviata, allargandone lo spettro e accelerandone l’attuazione, perseguendo un disegno organico e coerente.
La crisi si è innestata su una grande trasformazione dettata dal progresso tecnologico e dalla crescita dell’integrazione tra le economie, con grandi paesi emergenti tra i protagonisti. La domanda di lavoro da parte delle imprese più innovative potrebbe non bastare a riassorbire la disoccupazione nel breve periodo. Ne risentirebbe la stessa sostenibilità della ripresa, che non troverebbe sufficiente alimento nella spesa interna. Questo rischio va contrastato sostenendo, anche grazie all’innovazione, l’attività in settori dove l’Italia ha tradizioni importanti ma carenze di rilievo e dove vi è ancora bisogno di un elevato contributo di lavoro, diversificato per competenze e conoscenze. Una maggiore attenzione, maggiori investimenti pubblici e privati per l’ammodernamento urbanistico, per la salvaguardia del territorio e del paesaggio, per la valorizzazione del patrimonio culturale possono produrre benefici importanti, coniugando innovazione e occupazione anche al di fuori dei comparti più direttamente coinvolti, quali edilizia e turismo. In questa fase delicata assume rilievo una compiuta integrazione delle politiche attive e passive del lavoro, come delineato nella legge delega per la riforma del mercato del lavoro. Sarà più facile adeguarsi al passo dell’innovazione tecnologica se le competenze necessarie potranno essere acquisite con efficaci percorsi di riqualificazione e se il sostegno al reddito durante la disoccupazione consentirà di affrontarli dignitosamente. Ai giovani la scuola deve fornire la prospettiva di un adeguato ritorno, non solo economico, per l’investimento in conoscenza. Molti indicatori mostrano da tempo un ritardo sia nei livelli di istruzione sia nelle competenze funzionali degli italiani. Per migliorare i programmi di insegnamento, accrescerne la qualità e indirizzare le risorse dove sono più necessarie non si può prescindere da una valutazione sistematica e approfondita dei servizi offerti e delle conoscenze acquisite. Inoltre dalle indagini di Banca D’Italia le imprese segnalano con chiarezza le difficoltà dovute al sovraccarico di adempimenti burocratici e all’instabilità delle norme. Gli indicatori disponibili collocano l’Italia nel complesso in posizioni arretrate nel confronto internazionale, anche se in tutte le aree del Paese realtà in ritardo coesistono con esempi virtuosi. Il rinnovamento dell’amministrazione, avviato da alcuni anni, va in questa direzione ed è una condizione per attuare processi di revisione della spesa pubblica che salvaguardino e potenzino la qualità dei servizi. La politica di bilancio avviata ha quindi cercato un equilibrio fra rigore e sostegno dell’economia, in conformità con i margini di flessibilità esistenti nelle regole europee, ma occorre riduca ulteriormente l’incidenza del debito pubblico sul PIL.

Economia dellEmilia Romagna

Nel 2014 si è interrotta la fase recessiva che ha caratterizzato il biennio precedente: in base alle stime di Prometeia, il PIL regionale è stato pressoché stazionario. Le esportazioni sono cresciute in misura consistente, in concomitanza con l’espansione del commercio mondiale; la spesa per investimenti ha segnato un nuovo calo. Per il 2015 le attese di una domanda in ripresa si estendono anche alla componente degli investimenti.
Il ciclo dell’industria ha mostrato segnali di ripresa sebbene con aumenti del fatturato e dell’utilizzo degli impianti disomogenei fra settori e classi dimensionali. Andamenti migliori della media sono stati registrati prevalentemente dalle imprese di maggiori dimensioni, più orientate all’export e attive nella meccanica e nell’automotive. Permane la crisi nell’edilizia; il calo dei prezzi e i bassi tassi di interesse hanno stimolato le compravendite, contribuendo a un modesto riassorbimento dell’eccesso di offerta. Il comparto dei servizi si è confrontato con una domanda debole soprattutto nel commercio al dettaglio; la spesa per beni durevoli è invece tornata a crescere, seppure in misura contenuta. Le presenze turistiche hanno segnato una diminuzione. I movimenti di merci hanno invece registrato un aumento.
L’occupazione è aumentata nell’industria e in misura minore nei servizi; ha continuato a diminuire nelle costruzioni. Il tasso di disoccupazione è rimasto prossimo a quello del 2013 e le ore di Cassa integrazione guadagni si sono ridotte.
È proseguita la diminuzione dei prestiti alle imprese, sebbene su ritmi più contenuti rispetto al 2013, grazie ai modesti miglioramenti nella domanda di finanziamenti e nelle condizioni di accesso al credito. Gli andamenti sono stati differenziati in base al profilo di rischio dei prenditori e ai settori di attività economica. Per le imprese con una situazione economica più solida il credito è aumentato, a fronte di una riduzione marcata per quelle più rischiose. La flessione si è attenuata per le imprese manifatturiere e dei servizi, riflettendo una ripresa dei nuovi finanziamenti che rimangono tuttavia su livelli contenuti. Per il settore delle costruzioni, al contrario, il calo si è accentuato. Per le famiglie consumatrici la diminuzione dei prestiti si è pressoché arrestata, anche grazie all’incremento delle nuove erogazioni per l’acquisto di abitazioni. I tassi di interesse sono diminuiti, soprattutto nella componente a medio-lungo termine, beneficiando delle politiche espansive della BCE.
La qualità del credito alle imprese è rimasta molto bassa ma con differenze tra settori: è ulteriormente aumentata la rischiosità dei prestiti alle costruzioni, attestatasi sui massimi storici a fronte di un leggero miglioramento negli altri comparti produttivi. Per le famiglie consumatrici sono aumentate le nuove sofferenze in rapporto ai prestiti, pur rimanendo su livelli contenuti. Nel complesso, l’incidenza delle partite deteriorate in rapporto ai prestiti ha continuato ad aumentare, condizionata dalla prolungata recessione e dalla diminuzione dei volumi di credito, in atto dall’inizio del 2012.
Fra il 2007 e il 2013 la crisi ha avuto ripercussioni rilevanti sull’economia regionale, con un calo del valore aggiunto di oltre il 7 per cento. Nell’industria manifatturiera la flessione è stata del 14 per cento. In tale comparto sono uscite dal mercato le imprese che presentavano verosimilmente minori prospettive di crescita. Tra le sopravvissute si è avuta una polarizzazione dei risultati aziendali; poco più di una su dieci ha attraversato la crisi registrando una significativa crescita del fatturato e un miglioramento della redditività. Negli anni della crisi i redditi delle famiglie si sono ridotti in misura consistente, pur restando su livelli più elevati di quelli medi del Nord Est e dell’Italia. La flessione è stata più intensa per i redditi da lavoro e per le famiglie con un numero elevato di componenti o con abitazione principale in affitto. La riduzione dei trasferimenti, composti principalmente da pensioni, è risultata più contenuta. Ne è derivata una flessione dei consumi e una ricomposizione della spesa a favore delle componenti non comprimibili, legate alla gestione dell’abitazione e ai consumi alimentari.
Il calo dei prestiti alle imprese durante la crisi si è accompagnato a una minore mobilità della clientela fra le banche, che tuttavia si è mantenuta al di sopra della media nazionale. Nell’ultimo triennio le imprese che hanno riallocato il proprio credito verso altre banche hanno ottenuto condizioni di costo meno favorevoli, segnalando che tali imprese sono state verosimilmente spinte da motivi connessi con la disponibilità di credito.

(Fonti : Relazione Annuale e Considerazioni finali del Governatore di BANCA D’ITALIA all’Assemblea Ordinaria dei partecipanti del 26.05.2015, Bollettino Banca D’Italia Economie Regionali – L’economia dell’Emilia Romagna N. 8, e ISTAT Rapporto Annuale 2015 - La situazione del Paese).

Andamento delle cooperative
aderenti all’Alleanza delle Cooperative Italiane Imola

Dopo il quadro internazionale si passa ora a delineare l’andamento economico 2014 del movimento cooperativo imolese come Alleanza delle Cooperative Italiane Imola, onde dar conto di come anche le nostre cooperative aderenti contribuiscano alla ricchezza del territorio, pur in un contesto macroeconomico ancora pesantemente colpito dalla crisi, soprattutto in alcuni settori e comparti.
Come già avvenuto lo scorso anno non è stato possibile fornire i dati aggregati con gli andamenti dei Bilanci Consolidati, ormai forma di sviluppo consolidata della nostra realtà cooperativa, in quanto vi sono ancora alcune aziende che, utilizzando i termini previsti dalla legge, non hanno approvato i loro bilanci e quindi non in grado di fornire i dati richiesti.
Premettiamo poi che, come sempre nel commentare gli andamenti, facciamo riferimento a dati aggregati che non sempre evidenziano correttamente gli andamenti dei singoli settori e comparti, delle diverse situazioni economico-dimensionali delle nostre aderenti nonché delle particolari situazioni attinenti alle cooperative non aventi nel territorio la propria sede legale ma solo strutture operative e conseguentemente in grado di fornirci solo dati per macro aree di attività non sempre coincidenti con il solo nostro territorio, ma che comunque, se confrontati con gli andamenti tendenziali generali, nazionali e regionali, senza voler entrare nel/nei casi specifici o puntualizzare trend settoriali, forniscono uno spaccato della nostra economia locale sempre più connessa e influenzata dal mercato nazionale ed estero.

Le Cooperative aderenti all’Alleanza delle Cooperative Italiane Imola a fine 2014 erano pertanto 109 con un decremento del 4,39% sull’anno precedente. Il dato è come sempre frutto di politiche associative che da un lato ci portano a supportare la nascita di nuove cooperative ma dall’altro a favorire anche forme di aggregazione ed incorporazione onde creare realtà imprenditoriali più patrimonializzate e di maggiori dimensioni che possono però anche comportare il trasferimento dell’impresa in altro territorio. L’andamento rispecchia cinque unità in meno in seguito a liquidazione volontaria o coatta amministrativa.
Si è valutato di inserire comunque fino al 31/12/2014 una cooperativa ammessa al concordato da cui nel 2015 è nata una significativa esperienza di workers buyout e i cui risultati entreranno a far parte del panel dal prossimo anno.
Resta confermato l’impegno dell’Alleanza delle cooperative Italiane Imola alla promozione cooperativa in quanto certa non solo dei valori di cui essa è portatrice ma anche della necessità di supportare, soprattutto nella fase di start up, le neo imprese onde dar loro non solo consulenze e competenze ma anche senso di appartenenza e solidarietà. Il numero dei rapporti associativi nel 2014 sale quindi a 84.677 con un incremento del 5,5% sul 2013 grazie non solo alle politiche attuate per rispondere ai soggetti più deboli e maggiormente colpiti dalla crisi ma anche per il senso di appartenenza che le cooperative di lavoro hanno creato nelle loro basi sociali e per le risposte concrete che la cooperazione ha dato nel campo del consumo, del credito, del settore socio-assistenziale, culturale, assicurativo e finanziario ma anche agroalimentare ed abitativo.
Come richiamato in premessa occorre rilevare che i dati presentati sono frutto di sommatorie di cooperative diverse per settore, dimensione, patrimonializzazione, mercato e prodotto. non dobbiamo dimenticare come la cooperazione imolese sia sempre stata caratterizzata da una importante presenza nel settore industriale di imprese di medio-grandi dimensioni e come, quindi, gli andamenti di alcune grandi cooperative abbiano sempre influenzato, nel bene e nel male, gli andamenti monitorati.
Oggi la fotografia mostra un ridimensionamento strutturale di alcuni settori e filiere produttive (in particolare legati all’industria delle costruzioni) con effetti significativi sui dati aggregati di fatturato, addetti ed investimenti e patrimonio.
Pertanto pur a fronte di settori e cooperative che in questo 2014 hanno raggiunto risultati importanti, hanno lavorato per consolidare produzione e capitale umano, hanno innovato e migliorato efficienza e competenze, le difficoltà, che alcune grandi cooperative stanno affrontando, hanno negativamente influenzato i risultati che, tuttavia, ancora testimoniano come la cooperazione stia costantemente e quotidianamente lavorando per tutelare produttività, forza lavoro e patrimoni.
Volendo quindi rilevare il dato dell’occupazione monitoriamo che l’occupazione fissa nel nostro territorio passa dai 7.739 addetti del 2013 a 6.878 addetti a fine 2014 con un calo del 11,1%. Se poi guardiamo il numero degli addetti con altre forme contrattuali questi passano dai 977 del 2013 agli attuali 1.214 con un aumento pari al 24% sul 2013, per un calo complessivo degli addetti totali pari al 7% sul 2013.
Occorre osservare come questo saldo negativo di 600 unità sia interamente ascrivibile alle situazioni di crisi aziendali e di esuberi già ampiamente dichiarati e commentati che insieme pesano per oltre ottocento unità.
Vale la pena sottolineare come le nostre cooperative abbiano quindi cercato ancora una volta di tutelare l’occupazione fissa a tempo indeterminato a discapito di posizioni non ancora stabili e come queste continuino a rappresentare una minima parte della forza lavoro delle nostre aderenti (15%) includendo anche il dato degli addetti stagionali e/o avventizi, tipici lavoratori del settore agroalimentare (pari a 600 addetti).
In tempi di crisi prolungata diventa poi importante poter contare sulla propria autonomia ed indipendenza finanziaria soprattutto se pensiamo alle difficoltà che in questi anni hanno dovuto affrontare le imprese nell’accesso al credito, per onerosità e durata media degli stessi. Rappresentano così dati importanti il capitale sociale a disposizione e l’entità dal patrimonio netto onde garantirsi quella liquidità indispensabile alla operatività e continuità aziendale.
Occorre quindi a questo punto rimarcare come sia importante preservare quel patrimonio indivisibile che le nostre cooperative hanno accumulato nel tempo in quanto garanzia non solo per creditori e stakeholder ma prioritariamente strumento per tutelare indipendenza finanziaria e opportunità di autofinanziamento e ancora risorsa preziosa per l’intergenerazionalità delle nostre cooperative, dei loro soci di oggi e di domani.
Il patrimonio netto si attesta a 1.504 milioni di euro con una flessione dell’11,96% sul dato dell’anno precedente mentre l’apporto dei soci in termini di capitale sociale arriva a 127 milioni di euro.
Il valore del patrimonio è condizionato dal venir meno del contributo nel dato aggregato di due importanti realtà della filiera delle costruzioni il cui valore superava i 200 milioni di euro.
Il fatturato è stato così sostenuto ed implementato nelle cooperative con forte propensione all’export ma per contro fortemente penalizzato se rivolto al mercato interno, soprattutto di beni durevoli, o legato a prodotti con bassa specializzazione e/o legato al settore delle costruzioni e filiera.
Il fatturato del 2014 si attesta, in valore assoluto, a 2.175 milioni di € con un decremento del 6,38% sul 2013 pari a 148 milioni di euro. Il dato è frutto quasi interamente condizionato dagli andamenti del settore delle edilizia e delle costruzioni (con il termine dell’esperienza di un’importante e storica realtà) e in parte dei servizi e della distribuzione che scontano la debolezza della domanda interna. È stabile è il fatturato dei servizi sociali mentre positivo il contributo in termini di fatturato del settore agricolo.
In controtendenza il valore dell’Export pari a 1.066,89 milioni di € contro i 1.052,98 milioni di € del 2013 con un incremento dell’1,32% sull’anno precedente (in valore assoluto 14 milioni di Euro).
L’Export continua quindi a sostenere le nostre imprese di maggiori dimensioni e rappresenta oltre il 49% del fatturato complessivo del movimento cooperativo del nostro territorio, confermandosi risorsa indispensabile per la crescita e la continuità aziendale delle stesse.
Occorre quindi come già detto sostenere tutte quelle azioni che mirano a facilitare l’ingresso delle nostre cooperative in nuovi mercati esteri, incentivare operazioni di aggregazione e contratti di rete, valorizzare qualità, efficienza e specializzazione, promuovere la diversificazione e la capitalizzazione in quanto strumenti indispensabili per la crescita e l’innovazione, affinché il movimento cooperativo del nostro territorio continui a rappresentare un distretto all’avanguardia e leader nel mondo per competenze, qualità, progettualità e storia.
Relativamente agli investimenti si può osservare come siano sostanzialmente in linea con il 2013. Sono stati 41,64 milioni di € nel 2014 rispetto ai 42,72 milioni di € nel 2013 con un decremento del 2,5%. Pur a fronte di un indiscusso calo, dettato principalmente da una contrazione consistente negli investimenti immobiliari più che in attrezzature e macchinari , in linea con quanto registrato a livello nazionale, occorre rimarcare come in questa analisi manchino i dati di consolidato ove le nostre imprese da tempo ormai concentrano il maggior numero di investimenti rappresentando una modalità consolidata di crescita e sviluppo delle stesse.
Infine una riflessione sul risultato netto d’esercizio. Ricordiamo come lo scorso anno per la prima volta, da quando monitoriamo e commentiamo l’andamento delle nostre aderenti, il risultato aggregato fosse negativo per ben 34,35 milioni di euro. Quel dato era fortemente influenzato dalla crisi di alcune grandi realtà oggi il Liquidazione coatta amministrativa o in procedura. Il dato 2014 ritorna a livelli in linea con il 2012 facendo registrare un utile netto aggregato di 22,28 milioni di euro.
Anche depurando il dato 2013 da quelle realtà che lo avevano fortemente condizionato (e che non sono presenti nei dati dell’utile analizzati), e volendolo confrontare con quello aggregato di fine 2014 per valutare l’andamento dell’anno, a parità di condizioni, si registra comunque un incremento del dato di oltre 14 milioni di euro.
Il 2014 presenta quindi un quadro molto differenziato quindi per settore, dimensione aziendale, patrimonializzazione, internazionalizzazione, tipologia di prodotto e/o servizio che non trova riscontro nel dato aggregato.
Occorre rimarcare gli andamenti positivi, i risultati raggiunti e gli sforzi fatti in diversi settori come l’agroalimentare, il socio-sanitario, parte dei servizi e supportare le nostre cooperative nei percorsi intrapresi per ristrutturare, efficientare e innovare le proprie imprese ma non dobbiamo sottovalutare le ripercussioni che le crisi di alcune importanti cooperative del territorio potrebbero generare.
Le cooperative devono capire i problemi legati alla dimensione aziendale, all’importanza di fare rete, alla scarsa patrimonializzazione, alla bassa specializzazione, alla necessità di internazionalizzazione, alla indispensabilità di motivazione del capitale umano e della sua formazione per migliorare la produttività, acquisire nuovi mercati, trasferire competenze e professionalità, innovare in prodotti e processi tecnologicamente avanzati, attrarre nuovi capitali e risorse ma occorre che vi sia un miglioramento dell’efficienza del sistema bancario, che venga sostenuta la crescita della domanda anche interna aumentando le opportunità di lavoro e riducendo l’incertezza dei consumatori, che si ridimensioni il debito pubblico, che si attuino politiche che promuovano l’innovazione, il rispetto delle leggi, premino il merito e la responsabilità in un’ottica di efficienza ed equità.
E nel nostro territorio occorre che le cooperative siano trainanti in questo, dimostrino i valori di solidarietà cooperativa, la loro mission intergenerazionale, la loro attenzione alla valorizzazione del capitale umano.

Imola 15 luglio 2015

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